Età Ellenistica e Romana
Sale 7-8Sala 7
Pithecusae per tutta l’epoca ellenistica rimane un vivace centro di produzione di ceramica e anfore, queste ultime destinate soprattutto all’esportazione del vino. Al III-II secolo a.C. risale la ceramica da mensa a vernice nera detta ‘Campana A’ (III-II sec. a.C.), prodotta a Ischia o sulla terraferma, ma utilizzando l’argilla dell’isola. Si tratta di una produzione di massa, senza particolare pregio artistico che, come merce di accompagno dei preziosi carichi di anfore, ha goduto di una certa fortuna oltre che in Italia, in Africa, Spagna e Francia meridionale.
Accanto alla ceramica comune, destinata alla cucina, alla dispensa ed alla mensa, nella sala sono esposte, tra i materiali rinvenuti sull’acropoli (scarico Gosetti), statuette frammentarie di terracotta tra le quali spiccano alcune testine femminili di piccolo modulo. Una testina in pietra tenera, che riconduce alla contemporanea produzione magnogreca (Taranto) e siceliota, può aver costituito il prototipo per la produzione degli esemplari fittili.
A testimonianza del fiorente artigianato di questo periodo si espone una matrice in terracotta con testa femminile e uno stampo con testa della dea Atena, così come un ex voto con fallo ed iscrizione incisa KERDAN (kérdos = guadagno), rinvenuto durante i lavori di costruzione delle Terme Regina Isabella (III sec. a.C.).
Oltre che centro di produzione, Pithecusae in età ellenistica continua ad essere un porto aperto ai traffici; qui giungono merci importate seguendo le rotte aperte dalle conquiste romane. Dalla Spagna provengono vasi cilindrici con decorazione dipinta in rosso scuro (II sec. a.C.), detti “sombreros de copa”, che molto probabilmente contenevano miele.
Le anfore fabbricate ad Ischia recano spesso sull’ansa bolli con il nome del fabbricante: per lo più si tratta di nomi greci, ma compaiono anche nomi italici. Anfore pitecusane sono state trovate in Sicilia, a Taranto, nell’Africa Settentrionale e in Grecia. Nell’isola di Delo commerciavano un tale Trebio Loisio, che firma anfore fabbricate con l’argilla di Ischia (metà del II sec. a.C.) e Marco Anterio: sono questi i due soli bolli in latino tra gli oltre trenta rinvenuti sulle anfore dello scarico Gosetti. I bolli si ritrovano anche su tegole ed embrici: vi compare generalmente la sigla DH seguita dal nome abbreviato del fabbricante. La sigla DH sta per demosìa (keramìs) vale a dire tegola di proprietà pubblica; in un solo caso la parola è scritta per esteso. In alcuni casi i bolli permettono di stabilire il luogo di provenienza dei manufatti: è il caso di anfore rodie contenenti vini pregiati, identificabili sulla base dei bolli che riportano il simbolo della città (una rosa), il nome del fabbricante dell’anfora e/o il magistrato eponimo).
Nella sala si espone ancora una base di donario con dedica ad Aristeo, proveniente sempre Monte di Vico: sulla faccia anteriore si legge “Megacle di Lucio, il Romano, (dedica) ad Aristeo“. Aristeo è il dio benefico degli agricoltori, che protegge le greggi, le api e la coltura degli alberi, soprattutto dell’olivo; modera l’arsura della canicola ed invia la pioggia benefica. Poiché il suo culto era particolarmente diffuso in Eubea, è da presumere sia giunto a Pithecusae già all’epoca della fondazione e che da qui si sia diffuso a Cuma ed a Napoli.
Sala 8
Nell’ultima sala del Museo sono esposti i reperti risalenti all’età romana, periodo nel quale l’isola fu flagellata da numerose eruzioni vulcaniche, da terremoti e frane che ne cambiarono in parte la fisionomia. L’isola tuttavia fu abitata senza soluzioni di continuità grazie alla feracità delle sue terre e alle attività produttive. L’insediamento più importante di questo periodo è localizzato tra la spiaggia di Cartaromana e l’isolotto del Castello di Ischia, sulla costa orientale: recenti scavi subacquei hanno messo in luce una banchina portuale e recuperato importanti reperti tra i quali blocchi di galena – il minerale dal quale si ricava il piombo, forse importato dalla Sardegna – scorie di fusione, ghiande missili ed altri manufatti in piombo tra i quali un buon numero di lingotti di piombo e di stagno recenti il bollo CN. ATELLI. C N. F. MISERINI.
Nella sala sono esposte alcune delle numerose ancore recuperate sui fondali marittimi di Ischia e di Procida. Provengono da quest’isola il ceppo d’ancora ritrovato sui fondali antistanti la Punta Cornacchia e un’ancora triangolare in pietra. Dalla Secca di Miseno si espone una macina riutilizzata come corpo morto. Sui fondali antistanti il Monte di Vico è stato recuperato il ceppo d’ancora in piombo completo di contromarra (parte terminale dell’ancora). Sempre da Ischia, infine, proviene il ceppo con i resti di iscrizione in lettere greche da Punta S. Pancrazio e quello con il motivo decorativo di conchiglie e mezzelune in rilievo dai fondali antistanti il Castello Aragonese.
La sala ospita alcuni corredi di sepolture di età romana: esse erano costruite per lo più con embrici e tegole, poste a schiena d’asino in modo da formare una cassa dentro la quale era deposto il defunto. Il corredo, piuttosto esiguo, è composto da qualche lucerna, balsamari in vetro o in terracotta e qualche piccolo vaso.
Tra i reperti più interessanti del periodo romano sono da citare i rilievi delle Ninfe Nitrodi (Nitrodes o Nitrodiae), semi-divinità venerate nei pressi di sorgenti di acque termali localizzate nella costa meridionale dell’isola (comune di Barano): nel museo sono esposte le copie in gesso, mentre gli originali rinvenuti nel 1757 sono esposti presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le sorgenti termali di Ischia erano ben note agli antichi: Strabone, Plinio, Stazio, Ovidio e Celio Aureliano, medico del V sec. d.C., ricordano le loro virtù terapeutiche. I rilievi rappresentano per lo più Apollo con la cetra con accanto due o tre ninfe, che portano conchiglie o vasi dai quali versano l’acqua salutare. Le scene sono accompagnate da iscrizioni dedicatorie in greco e il latino, che rendono grazie dell’ottenuta guarigione al Dio ed alle Ninfe. Il loro nome, come quello del loro luogo di culto, deve essere riconnesso con la parola nitro cioè con la soda, di cui si riteneva fossero ricche le acque della sorgente presso la quale le Ninfe stesse erano venerate.
Testa femminile
Testa femminile in terracotta, rotta alla base del collo, con copricapo decorato. La superficie è coperta da una scialbatura bianca su cui è steso il colore rosso, di cui si conserva qualche traccia. Proveniente dallo scarico Gosetti, Monte di Vico (Lacco Ameno), databile al IV sec. a.C.
Ancora in pietra
Ancora litica triangolare, con fori passanti, rinvenuta a Forio, a largo di Punta Cornacchia.