L’isola di Pithecusae: la sua storia, i suoi miti

Le origini della leggenda

La tradizione storica 
L’isola di Ischia, l’antica Pithecusae (Pithekoussai in greco), è stata nel corso dei secoli un crocevia delle principali rotte che attraversavano il Mediterraneo. Visibile dalla terraferma, l’isola deve alla posizione geografica la sua prosperità, dovuta anche alla disponibilità di risorse naturali e al precoce sviluppo di attività artigianali per la lavorazione dei metalli e la produzione di ceramiche. 
La tradizione letteraria è concorde nell’affermare che i Greci che si stanziarono a Pithecusae venivano dall’Eubea (isola localizzata ad Est dell’Attica) e un posto di primo piano in quest’impresa spetta agli abitanti di Eretria e Calcide, le due più importanti città euboiche (Strabone V, 5-9). Il controllo dell’isola, che nel corso del VII sec. a.C. subì gli effetti devastanti di eventi vulcanici, passò a Cuma, colonia fondata poco dopo Pithecusae dagli stessi Euboici (Livio VII, 22.5-6). Gli storici antichi raccontano che tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. si svolse uno scontro epocale tra Greci ed Etruschi per il controllo del mar Tirreno: lo scontro si concluse con la II battaglia di Cuma nel 474 a.C.  Ischia, che era stata occupata dalle truppe di Ierone I di Siracusa, alleato dei Greci, dopo la vittoria di questi ultimi passò sotto il controllo di Neapolis, la città che fin dalle origini (fine VI-inizi V a.C.) ebbe un ruolo centrale nel controllo dei traffici marittimi, seguendone le sorti. 
Nella seconda metà del V sec. a.C. la Campania, abitata fin dall’età del Ferro da gruppi diversi (Greci, Etruschi, Indigeni) passa sotto il dominio di genti italiche che prendono il potere nelle principali città: il popolo dei Campani occupa Capua e Cuma e soltanto Neapolis conserva parzialmente la sua indipendenza; Pithecusae in questo periodo e per tutta l’epoca ellenistica e romana rimane un vivace centro di produzione soprattutto di ceramica e anfore. 
In età romana il principale insediamento dell’isola che prende il nome di Aenaria è localizzato sulla costa orientale, a Cartaromana, dove scavi subacquei hanno portato alla luce una banchina portuale e reperti che attestano l’uso dell’attracco per traffici commerciali. 

Le fonti antiche 
STRABONE, V, 5-9 
Pithekoussai fu un tempo abitata da Eretriesi e anche da Calcidesi i quali, pur avendo ivi prosperato grazie alla feracità del suolo e alla lavorazione dell’oro, abbandonarono l’isola in seguito ad una disputa; più tardi essi furono spinti fuori dell’isola da terremoti ed eruzioni di fuoco, mare e acque bollenti … E anche Timeo dice che gli antichi raccontano molte cose meravigliose a proposito di Pithekoussai, e che solo poco prima del suo tempo, l’altura chiamata Epopeus (l’attuale Monte Epomeo), al centro dell’isola, scossa da terremoti, emise fuoco e respinse la parte tra sé e il mare nel mare aperto; e la parte di terra che era stata ridotta in cenere, dopo essere stata sollevata alta nel cielo, piombò giù di nuovo sull’isola come un turbine; e il mare si ritrasse per tre stadi, ma non molto dopo essersi ritirato, tornò indietro e con la corrente di ritorno allagò l’isola; e di conseguenza il fuoco sull’isola fu estinto, ma il frastuono fu tale che la gente sulla terraferma fuggì dalle coste entro la Campania. Le sorgenti dell’isola hanno fama di curare chi soffre di calcoli. 

LIVIO, VIII, 22.5-6 
La città di Palaepolis era non lontana dall’attuale sito di Neapolis. Entrambi i luoghi erano abitati dalla stessa gente, che era venuta originariamente da Cuma, mentre i Cumani fanno risalire la loro origine da Calcide in Eubea. Grazie alla flotta che li aveva portati dalla loro città natia, essi esercitarono notevole influenza lungo la costa del mare sulla quale vivevano, essendo prima sbarcati sulle isole di Aenaria e Pithekoussai, ed essendosi poi avventurati a trasferire la loro base sulla terraferma. 

Pithekoussai, “isola delle scimmie” o “isola dei vasi”?  
Sulle origini e sul significato del nome greco dell’isola, Pithekoussai, esistevano già nell’antichità interpretazioni diverse: l’autore alessandrino Xenagora lo faceva derivare da pithekos, in greco “scimmia” e metteva in relazione il nome con la leggendaria presenza a Ischia dei Cercopi, due mitici banditi greci che tentarono di derubare Eracle addormentato ma, scoperti, furono legati a testa in giù e poi trasformati da Zeus in scimmie. Secondo una tesi accreditata, l’uso di dare alle isole i nomi di animali selvatici (come Capri, ‘isola delle capre’) risalirebbe agli antichi naviganti che si muovevano verso territori sconosciuti e ritenuti pieni di inside. 
Plinio il Vecchio proponeva un’altra etimologia: il nome sarebbe derivato “a figlinis doliorum”, cioè dalle botteghe di vasi (in greco pithoi) presenti sull’isola, che fin dalle origini fu un centro fiorente di officine per la produzione di ceramiche. 
Una terza possibilità è quella ipotizzata da D. Ridgway, un altro grande studioso di Ischia: Pithekoussai potrebbe essere “semplicemente la forma ellenizzata di un toponimo indigeno preistorico riferito all’isola, o forse all’intero arcipelago flegreo (Ischia, Procida e Vivara). Isole e porti sono particolarmente suscettibili a un tale trattamento da parte di marinai e mercanti stranieri, che sentono il bisogno di rendere accessibile ai propri alfabeti nomi alieni e difficili a pronunziarsi”. (D. Ridgway, L’alba della Magna Grecia, Milano, 1984) 

L’altro nome di Pithecusae, Inarime – Aenaria 
Il nome Inarime, usato per designare l’isola, ricorre solo in testi poetici. Lo si incontra per la prima volta in Virgilio (Eneide IX, 716); il commentatore Servio spiega che esso è derivato dal riferimento omerico a Tifeo, localizzato nella terra degli Arimi (en Arimois: Iliade 11, 783), ossia secondo alcuni, sotto Ischia. 
Aenaria si trova già citata dallo storico L.C. Sisenna (Hist. Roman. Reliquiae, fr. 125) ed è indicato come un secondo nome di Pithecusae (Appiano, B.C., V, 69). Da molti autori è messo in rapporto con il viaggio di Enea da Troia al Lazio: l’isola si trova effettivamente sulla rotta delle peregrinazioni dell’eroe troiano. Alcuni antichi facevano derivare il nome di Aenaria proprio da quello di Enea (Plinio il Vecchio, Nat. Hist., III, 82 = 12, 2), ma l’etimologia resta oscura. 
Livio, (VIII, 22,5-6), accenna alle “isole di Aenaria e Pithekoussai ” come se si trattasse di toponimi riferiti ad isole distinte. Pomponio Mela, II, 121, fa di Aenaria un’isola distinta tanto da Procida che da Pithecusae.  

Pithekoussai e il mito di Tifeo   
La natura vulcanica e le caratteristiche geologiche sono alla base della localizzazione a Ischia del mito di Tifeo, il gigante ribelle confinato per punizione da Zeus sotto l’isola di Pithecusae: Tifeo erutta fuoco, rendendo calde le acque e, con il suo irrequieto agitarsi, provoca continui terremoti. 
Secondo il poeta Pindaro (Pitiche, I, vv. 13-28), come già Eschilo (Prometeo incatenato, vv. 351-372), il gigante Tifeo giaceva sotto l’intera regione compresa tra l’Etna e Cuma, collegando in tal modo i fenomeni vulcanici della Campania e della Sicilia. Per diversi autori latini, a partire da Virgilio, la sede di Tifeo è senza dubbio l’isola di Ischia. 
(Eneide, IX, 715-713) 

“allora per il rimbombo tremano l’alta Procida e Inarime duro letto imposto da Giove a Tifeo”