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Iscrizioni grecheNella vetrina 18 sono esposti materiali ceramici con iscrizioni in lettere greche, che rappresentano gli incunaboli della scrittura alfabetica greca. Una delle conoscenze fondamentali che i Greci dell'Eubea trasmisero ai popoli italici è infatti la scrittura alfabetica. Secondo l'opinione oggi più accreditata i Greci adottarono l'alfabeto dai Fenici nel corso del IX sec. La presenza di numerosi graffiti incisi su vasi dopo la cottura o, più raramente, dipinti, permette di dedurre che a Pithecusae, nella seconda metà dell'VIII sec. a.C., la conoscenza della scrittura alfabetica greca era ampiamente diffusa nella classe sociale media. La coppa di Nestore
Il più importante documento in tal senso è costituito dalla celebre tazza, importata da Rodi (inv. 166788), rinvenuta in una tomba a cremazione della necropoli - il cui corredo, peraltro eccezionalmente ricco, è esposto nella vetrina 23 - su cui è stato inciso in alfabeto euboico, e dunque a Pithecusae stessa, un epigramma in tre versi che allude alla famosa coppa di Nestore descritta dall'Iliade, l'unico esempio pervenutoci di un brano poetico in scrittura contemporanea alla composizione stessa dell'Iliade. Il testo è scritto in direzione retrograda, come nella scrittura fenicia; il secondo e terzo verso sono perfetti esametri. Le poche, piccole lacune sono tutte interpretabili con sicurezza tranne la seconda parola del primo rigo, che ha quattro o cinque lettere mancanti. La trascrizione del testo è la seguente:
Il cratere di InosE' da segnalare anche una bella anfora frammentata del tipo SOS, dell'ultimo quarto dell'VIII sec. a.C., che proviene dal quartiere metallurgico di Mazzola e conserva l'iscrizione graffita LEIA (inv. 239087). Sempre da Mazzola proviene un altro reperto degno di nota: un piccolo frammento di orlo e spalla di un cratere locale (inv. 239083), trovato al di sotto delle pietre di fondazione di una delle strutture, con la iscrizione retrograda dipinta "... inos m'epoiese" (" ... inos mi fece"), che è la più antica firma di vasaio che sia mai stata trovata nel mondo greco. Il nome è incompleto, così come il disegno della creatura alata raffigurata sotto il nome, forse identificabile con una sfinge, di chiara estrazione orientale. Seguono diversi frammenti di piccoli vasi - kantharoi, skyphoi e kotylai - per lo più di imitazione locale, con resti di iscrizioni greche incise in direzione retrograda.
Iscrizioni fenicieNella vetrina 18 sono esposti i materiali che documentano lo stretto rapporto
intercorrente tra i Greci di Pithecusae e gli orientali, essenzialmente semiti
(Aramei, Fenici), che vivevano nell'isola durante la seconda metà dell'VIII sec. a.C. La
perfetta integrazione di questi ultimi nella società greca è testimoniata dalla
circostanza che essi seppellivano i propri morti, senza distinzione, nella necropoli
greca. Il secondo documento è un minuscolo coccio sporadico, appartenente ad un kantharos di sicura produzione locale pitecusana, che reca anch'esso un'iscrizione in caratteri fenici, di cui restano purtroppo solo due lettere. La tazza, dalla tomba 232 del Tardo Geometrico II (inv. 167088), è posteriore all'anfora della tomba 575 di circa vent'anni. Il terzo documento, infine, è un piatto di produzione fenicia, che reca incise sul fondo delle lettere in caratteri fenici: è dunque possibile anche che l'iscrizione sia stata incisa sul piatto già nel suo luogo d'origine (inv. 239086). E' molto probabile che i semiti residenti a Pithecusae fossero artigiani, che producevano oggetti d'arte che venivano poi smerciati dai Pitecusani. L'esistenza di analoghi nuclei di residenti orientali è del resto documentata, per l'VIII sec. a.C., anche nella greca isola di Rodi, per la quale le fonti ricordano la presenza di una comunità fenicia stabilita in ambiente greco, mentre l'archeologia conferma la presenza nell'isola di questi metoikoi fenici, dediti prevalentemente al commercio di unguenti con l'Occidente.
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